Genitorialità e attaccamento
Genitorialità e attaccamento: una prospettiva evoluzionistica della relazione genitori/figli
Una società che vuole veramente proteggere i suoi bambini, deve cominciare ad occuparsi dei genitori
John Bowlby
Diventare genitori è una vera e propria rivoluzione sotto tutti i punti di vista. Gli equilibri individuali e della coppia devono necessariamente cambiare per far posto al nuovo nato/a.
In questa fase il compito evolutivo più importante riguarda la riorganizzazione ed elaborazione delle proprie esperienze infantili per dar vita ad una nuova parte di sé: la parte genitoriale.
Genitori, quindi, non si nasce ma si diventa insieme ai propri figli giorno dopo giorno, attraverso un vero e proprio lavoro di ristrutturazione della propria identità.
E’ un viaggio che guarda al passato, si inscrive nel presente e rimanda al futuro.
Ognuno porta nella relazione con i figli il proprio stile relazionale, tracce della propria storia infantile e i propri desideri consapevoli e inconsapevoli.
Una lettura fondamentale dello sviluppo della relazione genitore/figlio è data dalla teoria dell’attaccamento di John Bowlby e dalle successive ricerche svolte a partire da quest’ultima.
Secondo questa teoria i bambini, come tutti i mammiferi, hanno una predisposizione innata ad instaurare una relazione speciale con chi se ne prende cura (caregiver) grazie al sistema dell’attaccamento.
Il sistema dell’attaccamento è un sistema motivazionale a base innata che serve a sollecitare la vicinanza e a regolare la distanza con il genitore attraverso i comportamenti dell’attaccamento.
La vicinanza riguarda la possibilità di ripristinare uno stato di sicurezza, mentre la distanza permette l’esplorazione dell’ambiente.
Da un punto di vista evoluzionistico, questo sistema è utile alla sopravvivenza e alla prosecuzione della specie umana.
Il sistema dell’attaccamento si attiva, infatti, quando il bambino percepisce una minaccia o pericolo.
In queste situazioni Il bambino metterà in atto dei comportamenti come ad esempio: piangere, aggrapparsi, vocalizzare, protestare alla separazione per richiamare la vicinanza del genitore.
Quando il sistema dell’attaccamento è attivo, il bambino richiederà la vicinanza del proprio caregiver al fine di regolare le proprie emozioni di ansia o paura e soddisfare i propri bisogni di contatto, vicinanza e protezione. Quando questo sistema è disattivato, il bambino si sentirà sufficientemente sicuro per esplorare l’ambiente circostante.
Ad esempio un bambino piccolo piange quando il genitore lascia la stanza o quando lo mette giù.
Quel pianto è un richiamo, un comportamento dell’attaccamento, innato e utile a ripristinare una sensazione di sicurezza e benessere.
Quando il genitore prende in braccio il bambino, lo culla e lo coccola, il bambino si tranquillizza e viene ripristinato uno stato di calma. Il cervello inizia a produrre ossitocina, il cosiddetto ormone dell’amore, che favorisce lo sviluppo dell’autostima, della capacità di empatizzare, e le abilità sociali; si allena, inoltre, la via vago- ventrale del cervello connessa alla sensazione di sicurezza e salute.
Alla nascita il cervello è molto immaturo e ha bisogno di un cervello adulto per uscire da stati di paura, ansia, disagio, ma è anche sorprendentemente plastico e lavora per imitazione. Così questa azione di regolazione emotiva fatta dal genitore, verrà registrata dal cervello del bambino, che gradualmente imparerà a calmarsi da solo.
La sensazione di pericolo si attiva quando le condizioni ambientali rimandano a ciò che, ai primordi della specie, metteva in pericolo la sopravvivenza come ad esempio: essere soli, essere al buio, essere in un luogo nuovo o in presenza di estranei.
Nella stessa situazione in cui il bambino piange e il genitore non lo consola, il cervello inizia a produrre cortisolo, l’ormone dello stress, con conseguenze importanti sullo sviluppo e sulla salute psico-fisica. Inoltre, la produzione massiccia di questo ormone è connessa ad una minore tolleranza allo stress.
Quindi far piangere un bambino per farlo abituare a stare solo, a dormire da solo, ad essere autonomo potrebbe sortire l’effetto opposto, oppure provocare una disattivazione della richiesta di accudimento e una finta indipendenza che cela, in realtà ansia e paura del rifiuto.
Il modo in cui il genitore riuscirà a sintonizzarsi e risponderà ai bisogni di vicinanza, accudimento e protezione del bambino e le esperienze relazionali che ne derivano costituiranno i modelli operativi interni (MOI) .
I modelli operativi interni sono rappresentazioni mentali, credenze relative all’immagine di sé, degli altri, del mondo e di cosa ci si può aspettare dagli altri nelle relazioni.
Queste rappresentazioni costituiranno il tipo di attaccamento che influenzerà la vita relazionale adulta, ma anche il senso della propria efficacia personale nel mondo.
Per esempio se nella storia relazionale si è sperimentato il rifiuto e la distanza emotiva, si potrebbe avere la credenza di essere un bluff, o di essere inadeguati e ci si potrebbe sentire costantemente giudicati, sotto i riflettori, come se gli altri puntassero sempre il dito. Questo si potrebbe tradurre a livello relazionale in una suscettibilità alle critiche, in una difficoltà a comunicare le proprie emozioni e i propri bisogni, in un timore delle relazioni intime o anche, in ansia sociale.
Oppure se si è fatta esperienza di cure intermittenti o intrusive, si potrebbe avere una scarsa autostima e percepirsi come inaffidabili e si potrebbe avere l’idea che anche gli altri lo sono e di conseguenza scegliere inconsapevolmente persone di cui non ci si può fidare, o essere molto gelosi o temere che l’altro abbandoni o tradisca.
Queste credenze, e gli effetti di queste nelle relazioni, sono attive più che mai nella relazione con i propri figli in maniera più o meno inconsapevole.
Il tipo di attaccamento si sviluppa entro il primo anno di vita, anche se i primi 3 anni sono cruciali poiché prevedono un continuo adattamento reciproco tra genitore e bambino.
Nei primi anni di vita, infatti, la risposta al bisogno di vicinanza e protezione è importantissimo per lo sviluppo cognitivo, affettivo e cerebrale del bambino e rappresenta la base per favorire la futura autonomia. Tale bisogno è innato e prioritario anche a quello del cibo (Harlow ,1958; Harlow e Mears, 1979).
Gradualmente, grazie alla maturazione cerebrale, il bambino interiorizzerà la relazione con il genitore e diventerà sempre più capace di regolare autonomamente le proprie emozioni e propri stati fisiologici.
Lo sviluppo dell’indipendenza e dell’autonomia passa, quindi, attraverso la sperimentazione di una sana dipendenza con la propria figura di riferimento.
Un bambino sicuro di trovare rassicurazione nel genitore inizia a esplorare l’ambiente in maniera autonoma e a sperimentare la propria indipendenza, senza che nessuno lo renda autonomo.
La spinta all’autonomia è innata e si osserva benissimo nei bambini dai 18 mesi ai 4 anni, quando incominciano a dire frasi come “faccio io, da solo, sono capace”.
Attraverso la sintonizzazione emotiva con il proprio bambino e la risposta ai suoi bisogni di protezione, vicinanza e indipendenza, il genitore si pone come base sicura da cui poter partire per esplorare il mondo e a cui poter fare ritorno in caso di necessità.
Naturalmente nessun essere umano è perfetto, e a tutti può capitare di sbagliare o mal interpretare i bisogni del proprio bambino.
Ogni relazione, per sua natura, attraversa dei momenti di rottura che sono importantissimi, in quanto danno la possibilità di accedere ad uno degli ingredienti fondamentali delle relazioni sicure: la possibilità di riparare.
Riparare alle rotture relazionali ci dà l’idea della tenuta di una relazione e della sua sicurezza.
Stili di attaccamento e stile genitoriale
Lo stile di attaccamento influenza anche lo stile genitoriale.
Essenzialmente noi trattiamo noi stessi e gli altri come siamo stati trattati dalle nostre figure di attaccamento e ci aspettiamo dagli altri questo stesso trattamento.
In base allo stile di attaccamento cambia la modalità esplorativa dell’ambiente, la tolleranza allo stress e la percezione di sé e degli altri all’interno delle relazioni.
Abbiamo 4 diversi stili di attaccamento:
- SICURO: il genitore riesce ad essere sensibile, responsivo e affidabile. E’ centrato sul contatto e sull’incoraggiamento. Il bambino si forma l’aspettativa che se avrà bisogno sarà aiutato e confortato.
I bambini con attaccamento SICURO considerano il genitore come base sicura, da cui allontanarsi senza timore per esplorare l’ambiente e a cui poter tornare in caso di necessità. La separazione desta disagio, ma il bambino sicuro tollera l’assenza del genitore e al suo ritorno lo accoglie positivamente.
Generalmente sono bambini e, successivamente, adulti curiosi, fiduciosi, in grado di esprimere chiaramente i propri bisogni e le proprie emozioni. Hanno interiorizzato l’idea di essere amabili e che i propri bisogni possono essere soddisfatti dall’altro.
- INSICURO/AMBIVALENTE: Il genitore è centrato sull’intermittenza del contatto e della risposta ai bisogni del bambino. Il bambino lo percepisce come inaffidabile e imprevedibile e non sa cosa aspettarsi.
Questo stile può essere a volte intrusivo, a volte controllante e coercitivo. Il bambino si fa l’idea di essere bisognoso e fragile, di essere amabile in maniera intermittente e di non potersi fidare degli altri. Questo potrebbe portarlo ad un’espressione esagerata dele sue emozioni negative e di rabbia.
I bambini con attaccamento INSICURO-AMBIVALENTE hanno vissuti ambivalenti nei confronti del genitore e dell’esplorazione. Il bambino non è tranquillo nell’esplorazione e non ricorre al genitore come base sicura.
Durante la separazione sono angosciati, spesso inconsolabili e al ricongiungimento non riescono a tranquillizzarsi.
Mostrano comportamenti ambivalenti: ricercano, ma poi rifiutano il contatto con il genitore, esprimendo rabbia e agitazione. Si ha un iper-attivazione del sistema di attaccamento per vigilare costantemente sulla sua presenza della figura di riferimento di cui non si ha fiducia e certezza.
Generalmente sono bambini, e successivamente, adulti arrabbiati, ansiosi e insicuri con l’idea che i propri bisogni non potranno essere soddisfatti dall’altro.
- INSICURO/EVITANTE: il genitore è distanziante e infastidito dal contatto. Tende, quindi, a spingere precocemente il bambino verso l’autonomia. Il bambino si fa l’idea che se mostra le proprie emozioni e i propri bisogni sarà rifiutato dagli altri. Potrebbe sentirsi poco amabile e essere molto orientato all’esplorazione e all’indipendenza.
I bambini con attaccamento INSICURO-EVITANTE sono concentrati sull’autonoma esplorazione dell’ambiente, non si relazionano frequentemente con la figura di riferimento e non sembrano temere l’estraneo. Nei momenti di disagio o di separazione-ricongiungimento non ricercano il contatto con il genitore. Generalmente sono bambini e, successivamente, adulti molto autonomi, ma ansiosi, che provano disagio nelle relazioni interpersonali e nell’esprimere i propri bisogni ed emozioni. Tendono a pensare che l’altro non sarà disponibile per soddisfare i propri bisogni interpersonali, in quanto hanno sperimentato il rifiuto e la distanza da parte del genitore. In questi bambini si ha una disattivazione del sistema di attaccamento.
- Insicuro/disorganizzato: il genitore è maltrattante o spaventato e traumatizzato e spaventa a sua volta il bambino. Il bambino prova emozioni contraddittorie come compiacenza, paura di essere attaccato. Questi bambini mostrano il fallimento di ogni strategia di regolazione emotiva. Il legame con il genitore è traumatizzante e il bambino può mostrare paura in sua presenza.
Generalmente sono bambini e, successivamente adulti, che percepiscono i propri bisogni in maniera confusa e possono apparire preoccupati, controllanti, arrabbiati, passivi, confusi.
Nella storia genitoriale si ritrovano spesso traumi o lutti non elaborati.
Lo stile di attaccamento si trasmette di generazione in generazione perpetuando gli stessi modelli relazionali ed educativi, spesso in maniera inconsapevole.
Per esempio un genitore preoccupato dell’abbandono e della separazione potrebbe interpretare i segnali di autonomia del figlio come un pericolo per la relazione e mettere in atto comportamenti che non favoriscono la sua autonomia.
Oppure un genitore che teme le relazioni intime o non è a suo agio con la propria emotività, avrà difficoltà ad avvicinarsi emotivamente al proprio figlio e a rispondere ai suoi bisogni di contatto. Sarà centrato sulla sua sensazione di inadeguatezza e non sui bisogni reali del bambino.
Lo stile di attaccamento non è, però, un destino.
E’ possibile, che pur avendo sviluppato un attaccamento insicuro verso le proprie figure genitoriali, si riesca a rielaborare le proprie esperienze infantili e a costruire relazioni soddisfacenti con il proprio partner o i propri figli.
Diventare genitori rappresenta, quindi, una grande possibilità di crescita personale e relazionale. Un momento evolutivo importantissimo per la propria storia e quella dei propri figli.
Il regalo più grande che, come genitori, si può fare ai propri figli è quello di risolvere i propri problemi e la propria storia, perché essa non si ripeta ancora di generazione in generazione.
Bibliografia
“Attaccamento e perdita” John Bowlby, Bollati Boringhieri 2000
“Manuale dell’attaccamento: teoria, ricerca e applicazioni cliniche” a cura di Jude Cassidy e P.R. Shaver. Gianni Fioriti editore
“Attaccamento e legami”. Grazia Attili. San Paolo editore